giovedì 20 ottobre 2011

Abbiamo tutto il tempo del mondo



Ecco, più o meno, come avreste potuto vedermi un pò di tempo fa, se foste stati dei gabbiani o degli albatros:  se, in un pomeriggio di inizio estate, aveste spiegato le vostri grandi ali sui cieli di Genova, mi avreste sicuramente incrociato a bordo di un vecchio Sopwith Camel. 

Volevo fare gli auguri ad una ragazza, una ragazza speciale, e dato che, modestie a parte, io sto alla fantasia come un pedalò sta all' oceano, per un labirintico processo mentale che non sto qui ad esporvi, mi trovai catapultato con la mente a tante estati fa quando andavo in vacanza al mare. Ero piccolo ma mi è sempre rimasto impresso il caracollare di certi  vecchi aerei che facevano avanti indietro lungo il litorale, come nuotatori da libera balneazione in una vasca olimpionica, seguiti da stanche strisce recanti reclames. Di questi,  quelli che più attiravano la mia simpatia  erano i tardo-pomeridiani... non ne passavano molti ma qualcuno si. Mi sembravano un pò inutili, come gli ultimi colpi di trombetta, uscendo da una festa in maschera, alle tre del mattino: la maggior parte dei bagnanti aveva ormai abbandonato la spiaggia o era dentro qualche alimentare a fare la spesa per la cena... inutili quindi, e per questo ancora più belli. 
Comunque sia, questa digressione mentale mi illuminò sul come recapitare gli auguri alla ragazza: ero molto spericolato, a quei tempi. Adesso, invece...molto di più!

Tralascio, per il momento, della rocambolesca avventura che mi portò ad impossessarmi del biplano in questione e del manuale di volo redatto a tempo di record dal buon vecchio Walter Bottazzi, che in passato faceva consegne con uno Stearman PT-17 "Kaydet"  tra lAustralia e la Nuova Guinea, in compagnia del fedele Ascari (che di cieli se ne intendeva abbastanza, avendo lavorato a lungo nel premiato circo dell'aria "i fanti volanti di Buenos Aires").
Sorvolerò sul viaggio con l'ape del Walter, che mi accompagnò fino all'hangar, e sulle polpette con sonnifero cucinate dall' Ernestina per il mastino a guardia dell'apparecchio.
A dirla tutta, era altro ciò che avrei voluto scrivere su quello striscione...ma, si sa, a volte quello che si vorrebbe davvero non si fa...

 Del resto, la sentenza del Bottazzi a riguardo fu lapidaria: le ragazze certe cose le capiscono senza bisogno di molte parole, anzi le percepiscono. Dopo questa frase sarebbe calato un silenzio da frontiera ma, dato che a fianco di un vecchio che guida un'ape c'è sempre un cane (fateci caso...), Halzeimer, il levriero di Walter, chiosò con un lungo latrato.
Io invece, anche tempo dopo, non mi resi conto che non c'era proprio nulla da fare...  pur essendo sceso da quel biplano, continuai per un bel pò ad avere la testa tra le nuvole... tra l'altro, quella di stare per aria sarebbe la condizione migliore per afferrare le cose al volo...

 Se la trasvolata andò benone, meno bene andò l'atterraggio: non vidi le segnalazioni che, sul far della sera, il Bottazzi avrebbe dovuto approntare presso una radura nell'entroterra ligure. E non potevo vederle dato che quel vecchio sciagurato non le fece proprio!... semplicemente, si era addormentato: me lo confessò giorni dopo ammettendo che, durante una sosta all'autogrill nel viaggio per accompagnarmi, diede una polpetta dell'Ernestina ad Halzaimer ma, con la fame atavica che si ritrova, non potè fare a meno di assaggiarne una pure lui.

Venne a recuperarmi il giorno seguente in pedalò, ovviamente con cane al seguito, presso l'isola di Bergeggi, dove, a notte fonda, avevo azzardato con successo un ammaraggio di fortuna.

 Comunque sia, quel tardo pomeriggio in molti mi videro volare e tra questi, ne son sicuro, anche la ragazza per cui avevo fatto tutto ciò.

Pur essendo passato molto tempo da allora e dubitando che lei ne perda anche solo un po' sui miei scritti, qualora lo avesse fatto, forse potrebbe essersi riconosciuta...non me ne abbia a male... è solo un modo per ridipingere qualcosa che si era un pò stinto, in questi anni... 

Sento rappettare un'ape in lontananza mentre un cane ulula in fondo al lungomare, e poi un gran silenzio di frontiera.