sabato 8 dicembre 2012

Poltronissima all' Happy Charlie






Qualche giorno fa stavo scrivendo un soggettino per un fumetto che penso non disegnerò mai perché di una tristezza immonda. Deciso come non mai a dare un senso alla giornata e, nello specifico, al pomeriggio, scesi giù a pendermi un caffè, al mio bar. Ero lì che contavo due balle a Gino, il barista, quando sento una voce  provenire dal biliardo: "Vai a farti il giro dei mischi, Tavo! Tu e quel catorcio di vespa che ti ritrovi!"
Era la roca voce di Armando: la mia vespa si trovava parcheggiata da ormai due mesi nella sua officina, forse anche pronta a ripartire, anzi sicuramente, perché quello squadernato di un meccanico ha un debole per le vespe ma non per gli insolventi come me. E siccome mi ritrovavo ad attraversare un periodo di congiunture sfavorevoli per il mio portafoglio, avevo deciso che per un po' mi sarei tenuto in forma girando a piedi.
"Ma mica sono alle Hawaii, a dondolarmi su un'amaca!" gli faccio io, guardandolo torvo da sopra le spalle. E l'Armando, tra un filotto sbagliato e un sorso di birra, replicò: "Vorrei ben vedere! intanto, però, stai qua al bar e non a lavorare... E poi, cerca almeno di rispondere ai messaggi, sennò finisce che quel rottame me lo rivendo pezzo per pezzo, intesi?". La velata ingiunzione di pagamento dell'Armando mi fece ricordare che, per qualche arcano motivo, il mio telefonino era inabilitato a qualsiasi tipo di comunicazione.

Uscito dal bar, alzai il bavero, mi calai il berretto in testa e presi un carruggio che mi avrebbe portato in centro per cercare di risolvere la questione con la compagnia telefonica: la speranza era quella di non dover cacciar soldi che non avevo. Chi vive sperando muore cantando ma il mio cellulare sarebbe stato muto almeno fino al prossimo stipendio. Il che mi portò a passare dal negozio dove, di recente, ho iniziato a lavorare come grafico-tuttofare e, anche se era il mio giorno libero, entrai a dare un saluto a quel buon diavolo del Giancarlo, il proprietario della stamperia genovese in questione che ha avuto il coraggio di assumermi. Mentre stavo trafficando nel retrobottega, entrarono due clienti disquisendo di pigiami, accappatoi e t-shirts; la voce di uno dei due non mi suonava nuova e sembrava fatta apposta per cantare dentro ad uno smoking, illuminata solo da un occhio di bue, dietro un pianoforte a coda, lungo e nero, in un night, sopra un palcoscenico o in alto mare. 
Diciamoci la verità: Genova, città di una certa importanza, spesso latita nel panorama dello spettacolo, ma è sicuramente in primo piano a livello europeo, anzi, in cima alla classifica, per la coriacea presenza di anziani: di ragazzi del '99 magari non ce ne sono più molti ma tanti sono ancora quelli che hanno vissuto l'infanzia al di qua della linea gotica. Le due cose potrebbero considerarsi rispettivamente effetto e causa ma, nonostante ciò, talvolta qualcuno passa anche di qua. E infatti, la voce entrata un momento prima in negozio, era quella che la sera stessa avrebbe cantato al Carlo Felice. Non portava l'impermeabile e nemmeno lo smoking, ma un semplice maglione con sopra una giacca, di quelle con le toppe ai gomiti, ma elegante, di velluto maron e pantaloni grigio scuro. 
Paolo Conte stava commemorando il suo cane Nelson, andato a scorrazzare in qualche Africa, su una pista di elefanti o perso in qualche nebbia di acqua e anice, o magari in Sud America e comunque fuori da questo mondo, ormai da due anni. Michele, l'amico che lo accompagnava, non tanto disinteressatamente in quanto suocero di Giancarlo, cercava di convincerlo a optare per una più sobria maglietta ma il cantautore astigiano era irremovibile nel volere il suo quadrupede stampigliato su un pigiama, azzurro, con bordini blu navy, di quelli che porta mio padre e che, prima di lui, portava mio nonno. 
Con la gioia di un bambino che ha appena vinto una gara di biglie in spiaggia quando in premio c'è una bella cedrata fresca, feci capolino dal retrobottega e salii in cattedra, o meglio, mi appoggiai al bancone: carta e matita alla mano, iniziai a scarabocchiare qualche bozza circa la possibile composizione della stampa, seguendo il profilo canino di una foto di Nelson che il cantautore portava sempre con se nel portafoglio, come si fa coi santini. 
Finito il disegno, volli esternare la mia ammirazione al cantautore: "Signor Conte, volevo farle un "in bocca al lupo" per stasera... i suoi pezzi accompagnano la mia vita da un bel pò ed era mia intenzione venire ad ascoltarla ma, in questo momento, mi vedo costretto a desistere perché le serrande del Carlo Felice, per me, sono più abbassate di quelle del Mocambo, non so se mi spiego... Comunque, come si dice in questi casi, ad maiora!" 
"Senti figliolo, facciamo una cosa: prova a passare dagli accrediti verso le otto e vediamo che si può fare… non ti prometto nulla ma è capace che un posto per te lo rimedio! Come hai detto che ti chiami?" "Maurilio Tavormina, per gli amici Tavo."
"D'accordo Tavo. Alle otto allora!"
Ero rimasto a corto di parole ma provai ugualmente a cavarne fuori un paio di circostanza, si deve pur dire qualcosa in questi casi. Avrei potuto dirgli di quanto La fisarmonica di Stradella suonasse nella mia mente il ricordo di una notte in macchina con una ragazza di un pò di tempo fa; o parlare del pullman in gita, alle elementari, che suonava Azzurro, anche se cantata da Celentano, e di come quella fosse la prima canzone di cui avessi memoria; avrei anche potuto confessargli di tutte le volte che mi son sentito naufrago mentre le ragazze che desideravo ballavano con altri o raccontargli di quella volta che sono entrato in un locale notturno che sembrava uscito da Boogie Woogie, cassiere e coccodrilli compresi. Di tutte queste ed altre cose, l'imbuto del mio cervello consegnò alla voce un tiepido: "Bè allora grazie signor Conte!"
"Ringrazia Nelson... quel cane ha un cuore d'oro anche da morto: ha gradito il ritratto che gli hai fatto, garantito al limon." 
Mentre Giancarlo impacchettava il pigiama stampigliato, un lampo di genio balenò all'improvviso nell'azzurro della mia mente: scaricai da internet una bella foto di una Topolino Amaranto, la virai a seppia e la stampai su carta fotografica. 
"Signor Conte, le chiedo ancora una cortesia: potrebbe gentilmente scrivermi due righe su questo foglio?" 
"Sicuro figliuolo, cosa vuoi che ci scriva?" 
"Metta pure: Ad Armando, ricordando Marisa, La Wanda e quel tamarindo sul bovindo!"
"Mi piace, ha una sua musica, bravo ragazzo…ma non ti chiami Maurilio, per gli amici Tavo?"
"Si ma quello che tiene in ostaggio la mia vespa si chiama Armando, fa il meccanico e, se mi riesce il colpo, questa sua dedica può riscattare la mia due ruote..." 
Da sempre, infatti, Armando millantava senza ritegno di aver riparato, in una nebulosa quanto improbabile gioventù, le macchine di personaggi famosi, da Gassman a Rita Pavone, nessuno escluso. Una volta, a suo dire, era passato dalla sua officina anche Guttuso che, durante una vacanza in Riviera per dipingere palmizi dondolanti, ebbe un problema alla coppa dell'olio della sua Giulietta e, come pagamento per la riparazione, gli promise un quadro, per altro mai pervenuto. 
"Grazie ancora Signor Conte!"
"Paolone, per gli amici solo Paolone e... zzazzarazzà!
"tudap tudap Paolone, sempre in gamba!"

Intero notte, Foyer dell'Happy Charlie. 
"Buonasera, ci dovrebbe essere un biglietto a nome Maurilio Tavormina..." 
"Un attimo che controllo…mi dispiace non ci risulta." 
"Capisco, non importa. Grazie lo stesso e buona sera."
D'altro canto, aver scambiato quattro chiacchiere con Paolo Conte era già abbastanza per me, anche se in pochi ci avrebbero creduto... molta gente non è più abituata a sognare. 
Poi, calandomi il berretto per uscire, ebbi una pensata e tornai dalla signorina degli accrediti.
"Scusi signorina, gentilmente potrebbe controllare se c'è un biglietto a nome Tavo?"
"Ora vediamo..." La smorfia era del tipo: mi stai facendo perdere tempo.
"...Poltronissima, fila 5 posto 16. A lei e buon divertimento."
"Zzazzarazzà!"







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